LA MADRE
di Luisa Caeroni
Giuditta
aspettava il suo ragazzo rimescolando nervosamente la minestra sul fuoco.
Si sentiva agitata come se già conoscesse le segrete essenze della
realtà. Isaia rincasava sempre in orari diversi e anche se quella sera
era un po’ tardi, non c’era ragione di allarmarsi, ma era ingabbiata
in uno stato d’ansia. Finalmente, sentì la porta aprirsi; finse
noncuranza e osservò di sottecchi il rientro del figlio. Era sano e
salvo, grazie a Dio, e i suoi trambusti mentali cessarono di colpo.
Isaia si sedette malamente a tavola; aveva un pallore particolare e il suo
sgomento era palpabile. Sua madre lo invitò al dialogo con un interloquire
qualsiasi, ma lui non la degnò di alcuna risposta. Lo sguardo era fisso
nel vuoto, le orecchie sorde: era avvolto da un’amara taciturnità.
- Sei stanco questa sera? Hai lavorato fino a tardi? – chiese Giuditta
fissandolo attentamente.
- Lasciami stare mamma. Non ho voglia di parlare.-
- Perché? Che è successo Isaia? Non ti senti bene? Hai litigato
con qualcuno? - incalzò la donna.
- Mamma! – rispose irritato il ragazzo digrignando i denti.
Giuditta tacque spaventata. Si rifugiò nella camera attigua e subito
dopo udì sbattere furiosamente la porta. Se n’era andato di nuovo.
A letto la donna non fece altro che rigirarsi senza poter prendere sonno.
Cosa nascondeva suo figlio per essere tanto sconvolto? Gli interrogativi furono
molteplici. Erano tempi duri per i giovani. Il lavoro non si trovava con facilità
e le bande bighellonavano per strada da mattina a sera. Le corbellerie dei
più agitati correvano ogni giorno di bocca in bocca. Poi c’erano
quelli coinvolti in dissensi politici, la cui incolumità era maggiormente
a rischio. Il regime non concedeva ragazzate, né sorvolava sugli assembramenti
di dubbia finalità. Molte erano le madri che temevano per la vita disordinata
dei propri figli.
Isaia era un accolito di Sebastian e appoggiava le sue speculazioni che si
fondavano su principi di uguaglianza, di difesa dei più deboli, di
un più equilibrato sfruttamento delle risorse, di rispetto della natura,
di un diverso senso della giustizia; la sua affascinante maieutica coagulava
intorno a se molti giovani.
“Ideali, ideali” pensava tormentata Giuditta, - “sodaglia!
Li contrappongono al denaro, al potere, per marcire poi tra le più
atroci mutilazioni.” Riflettendo più a lungo, filtrò la
sua ansia con la consapevolezza che lei stessa possedeva molti di quegli ideali.
Come poteva ora osteggiare le scelte di vita di Isaia? Come avrebbe potuto
frenare l’esuberanza propria della giovane età?
Era già apparso il primo chiarore del mattino, quando la donna avvertì
il cigolio dell’uscio e subito dopo si ritrovò Isaia ai piedi
del letto.
- L’hanno preso! – esclamò suo figlio a mezza voce.
Giuditta si levò di scatto, frastornata.
- Cosa è successo? –
- L’hanno preso, mamma, l’hanno arrestato! Hanno preso Sebastian!
-
- La polizia? -
- Sì, l’hanno portato in caserma.
- Ma lo sanno tutti che Sebastian è un ragazzo innocuo, parla solo
un po’ troppo….”
- Proprio per questo. Le sue teorie non piacciono al regime. Io glielo dicevo,
“Stai attento Sebastian, qui non tutti la pensano come noi. Ho sentito
commenti poco piacevoli sul tuo conto….” Ma lui niente, come se
avessi parlato al muro.
- E prenderanno anche te, dunque? -
- No, sta tranquilla mamma, non sono interessati a me. -
- Miriam è stata avvisata? –
- Non credo, tutti gli altri sono spariti nel nulla. Non torneranno certo
per avvisare Miriam. –
Giuditta sparò il suo corpo appesantito giù dal letto.
- Come? Hanno portato in caserma Sebastian e sua madre non sa niente? –
Si vestì in un baleno e si precipitò a casa dell’amica.
Arrivata sulla soglia, la chiamò affannata, ma con voce sommessa perché
i vicini non sentissero. Miriam si affacciò alla finestra e vedendo
Giuditta in preda all’ansia, raggiunse il piano terra ancora in camicia
da notte.
- Cosa c’è Giuditta? -
- L’hanno preso…., la polizia….., questa notte…..,
l’hanno preso! –
Miriam non ebbe bisogno di altre spiegazioni, sapeva che si trattava di suo
figlio. Come un razzo risalì al piano superiore, indossò il
primo abito che le capitò sotto mano e scese le scale a grandi balzi.
Giuditta fu costretta a starle dietro e volare con lei lungo la strada.
- Qualcuno ci aiuti, qualcuno ci aiuti…. – implorarono le due
scarruffate donne al conducente di un trabiccolo che transitava di buon ora.
L’uomo rispose con gentilezza invitandole a salire e informandosi sul
motivo di tanta apprensione.
- Hanno arrestato suo figlio Sebastian - spiegò Giuditta alla ricerca
di consolazione.
- Sebastian? Lo conosco. Sono stato molte volte insieme a lui. Quando lo hanno
preso? – chiese accigliato lo sconosciuto.
- Questa notte – Spiegò ancora Giuditta con una gran voglia di
scaricare su qualcuno questa pena.
- Solo lui? -
- Si, gli altri sono fuggiti. -
- Perché si è fatto sorprendere? Sapeva che in giro c’è
aria di tempesta. -
Miriam taceva e pregava. Non vedeva l’ora di arrivare per saperne di
più.
Quando finalmente giunsero davanti al lugubre edificio militare, videro tanta
gente assembrata nei pressi del portone. Miriam riconobbe alcuni amici di
Sebastian mischiati tra la folla. Si avvicinò a quello che meglio conosceva
per chiedere notizie.
- Non sappiamo niente. L’hanno braccato mentre dormiva. Aspettiamo,
prima o poi lo rilasceranno, non ha commesso nulla di male. -
- Cosa gli staranno facendo? – chiese con falsa calma.
- Lo stanno interrogando, si dice. –
Passarono pochi minuti, poi il portone si aperse, ma nessuno riuscì
a vedere quello che succedeva perché i paludati sbarravano la strada
alla gente. Miriam ritta sulle punte dei piedi, vide fra quella selva di schiene,
la testa riccia di suo figlio; lo stavano scortando via. Come una lupa ferita,
incominciò a correre su e giù, ma non riuscì a capire
né vedere nulla che potesse chiarirle la situazione. Giuditta visto
il parossismo dell’amica, la invitò alla calma.
- Stai tranquilla, vado ad informarmi io, stai tranquilla. –
Si avvicinò quindi con il suo più smagliante sorriso ad un soldato
con la faccia floscia che stava impalato all’interno dello portone ed
iniziò a parlottare. Da fuori non si intuivano i termini del dialogo,
ma si vide la donna strofinarsi un ginocchio, con la sottana alzata, come
fosse caduta un attimo prima. Trascorso il tempo necessario, Giuditta si riunì
alla folla di curiosi tirandosi appresso con noncuranza Miriam.
- L’hanno portato al palazzo del Governatore per un altro interrogatorio.
Non sapeva niente di più quel tontolone.-
Si recarono di corsa nella vicina piazza. La milizia ostruiva l’ingresso
del più importante complesso architettonico della città. La
gente andava sempre più accalcandosi nei pressi del portale perché
Sebastian era conosciuto e la notizia del suo arresto dilagava a macchia d’olio.
Sui volti dei sostanti si leggeva preoccupazione. Miriam sgambettava su e
giù per la piazza e Giuditta, accanto, senza abbandonarla mai, cercava
di dissipare le ansie dell’amica con argomentazioni alle quali lei stessa
non poteva credere. Mentre le due donne stavano nel punto diametralmente opposto,
si formò un nugolo di persone intorno ai soldati che riconducevano
il prigioniero nella caserma poco distante. Miriam si fece largo a gomitate
e il suo sguardo incontrò quello di suo figlio. Sebastian sorrideva,
i suoi occhi sembravano dirle “tutto a posto mamma, non ti preoccupare”.
Non poterono parlarsi. Altre donne nel frattempo avevano fatto cerchio intorno
a Miriam e cercavano di confortarla.
- Non ha mai fatto niente di male, è una persona straordinaria. La
sua gente lo difenderà a spada tratta. Vedrai, tra poco lo rilasceranno.
–
Alcune la guardavano con tenera compassione e tutte insieme, solidali, rimasero
in attesa.
Dopo un tempo incalcolabile, ecco la milizia uscire con un uomo ammanettato
e pestato a sangue. Non lo nascosero alla folla, anzi fecero in modo che tutti
vedessero quello scempio. A Miriam si accartocciò il cuore. Corse verso
di lui, ma fu subito malamente allontanata. Sebastian aveva gli occhi semichiusi
dal gonfiore e non la scorse. Sul dorso nudo si notavano chiaramente i segni
delle percosse. Incatenato e con le ginocchia che si piegavano, il ragazzo
avanzava a scatti, come facendosi forza ad ogni passo.
Tra la folla, scompaginata in gruppi, che osservava il macabro corteo, qualcuno
urlò:
- Avete fatto bene, così si trattano le teste calde! – e altre
frasi contro di lui.
Miriam guardava e ascoltava esterrefatta. Dopo qualche minuto di smarrimento
cercò un volto conosciuto, un amico, uno dei tanti del suo Sebastian.
Nessuno; nei pressi, nessuno. Con scatto fulmineo sollevò l’ingombrante
gonna e, rastrellando tutte le sue forze, si mise a correre qua e là
come un cavallo imbizzarrito. Avrebbe desiderato gridare, inveire, supplicare,
ma la voce non usciva; poi anche lo sguardo si annebbiò e lo spasmodico
labbreggiare cessò. Svuotata di energie si accasciò a terra
inseguendo il vento dell’oblio.
Le guardie che dapprima avevano permesso alla gente di sostare nello spazio
prospiciente la caserma, temendo che il rumoreggiare della folla si trasformasse
in tumulto, intimarono di sgombrare velocemente. Urlavano con tono stentoreo
e concitato. Nessuno si mosse di un passo. Allora incominciarono a mostrare
le armi finché sparirono tutti dalla loro vista.
Giuditta e le altre donne che facevano capannello intorno a Miriam si guardarono
intorno alla ricerca di un aiuto. Un giovane uomo si avvicinò alla
triste comitiva e raccogliendo il corpo mencio della poveretta, riproponendo
inconsciamente la drammatica scena della pietà, invertita nei personaggi,
la portò lontano dalla piazza con un seguito di madri ingobbite dalla
desolazione.